«L’illuminazione»

Dall’Oriente all’Oriente dell’anima 

Sommario – L’esperienza spirituale dei fedeli d'amore : Iniziazione - Conclusione 

Dante & Béatrice

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 «Tengo il segreto della tua bellezza nel più segreto del mio cuore. / Il mio cuore resta in silenzio se mi si domanda il segreto del tuo Nome.»

Man mano che il fedele d’amore progredisce nella sua esperienza amorosa, si muove nell’ambito di quell’Oriente che percorre da un capo all’altro. Nel corso di questa peregrinazione che si compone di tutte le vicissitudini che formano l’amore umano, è effettivamente la persona amata che si trasfigura, fino alla «illuminazione» del fedele d’amore stesso, che costituisce la visione dell’Angelo, perché «l’amore tende alla trasfigurazione della figura terrestre amata, avvicinandola alla luce perché ne faccia sbocciare tutte le potenzialità sovrumane, fino a investirla della funzione teofanica dell’Angelo» (Henry Corbin, L’immaginazione creatrice nel sufismo di Ibn ‘Arabî, p.123).

All’inizio di questo viaggio nell’Oriente non è questione di altro che dell’amore spirituale, «primo gradino del Malakût (o Oriente)», e come nota Rûzbehân Baqlî, «è proprio questo amore che si offre all’ammirazione secondo la dottrina o la «religione dei Fedeli d’Amore». Ma ben presto il fedele d’amore viene preso da un altro amore, che è «l’amore intellettuale», «quando questo intelletto progredisce sotto la protezione dell’anima pensante nel mondo di Malakût» e che «si manifestano gli «effluvi» del mondo dello Jabarût (o Oriente dell’anima)». È qui che si trova l’inizio dell’amore divino, «che è la vetta delle vette», e, precisa Rûzbehân Baqlî, «la fase finale non potrà sorgere che grazie alla visione contemplativa di un essere di bellezza e maestà.»

Di ciò che chiamiamo «illuminazione», visione dell’Angelo, o «visione contemplativa di un essere di bellezza e maestà», per riprendere l’espressione di Rûzbehân Baqlî, i fedeli d’amore ne fanno l’esperienza in modo singolare, ma sempre con delle modalità identiche: apparizione di un essere di bellezza trasfigurato che assomiglia all’amatissima o visione dell’amatissima sotto le spoglie di un Angelo che le rassomiglia. In tutti i casi si tratta proprio della Figura teofanica di cui l’amatissima è l’annunciatrice. Richiamiamo due esperienze viste e raccontate, la prima di Ibn ‘Arabî, la seconda di Dante.

Ibn ‘Arabî

«Una notte, stavo compiendo le deambulazioni circolari di rito intorno al Tempio della Ka’ba. Il mio spirito godeva di una pace profonda; una dolce emozione di cui avevo perfettamente coscienza si era impadronita di me. Uscii dalla superficie in pietra, a causa della folla che vi si pressava, e continuai a circolare sulla sabbia. Improvvisamente mi vennero in mente alcuni versi; li recitai a voce abbastanza alta per essere sentito non solo da me stesso ma anche da qualcuno che mi avesse seguito, supponendo che ci fosse stato lì qualcuno.

Ah ! sapere se esse sanno quali cuori hanno posseduto! / Come il mio cuore vorrebbe saper quali sentieri di montagna esse hanno preso! / Devi crederle sane e salve, o credere che sono perite? / I fedeli d’amore restano perplessi nell’amore e esposti a tutti i pericoli.

Avevo appena finito di recitarli che sentii sulla spalla il contatto di una mano più dolce della seta. Mi voltai e mi trovai in presenza di una giovane donna, una principessa tra le figlie dei Greci. Non avevo mai visto una donna con un volto più bello, che parlava più soavemente, col cuore più tenero, con le idee più spirituali, con le allusioni simboliche più sottili… Lei superava tutte le persone del suo tempo in finezza di spirito e in cultura, in bellezza e in sapere.»

Dante

Si incontra la stessa situazione nell’esperienza di Dante, così come ce la racconta nella sua Vita nova. Un giorno che è «seduto e tutto assorto da qualche parte», sente nascere nel suo cuore un tremito e gli sembra che Amore gli dica, con grande allegria: «Pensa a benedire il giorno in cui ti ho preso, perché lo devi». « E in verità, continua Dante, sentivo il mio cuore così gioioso che non mi pareva fosse il mio, da tanto che era nuovo il mio stato. E poco dopo che il cuore mi ebbe detto queste parole con linguaggio d’amore, vidi venire verso di me una gentile dama, di rinomata bellezza». Il nome di questa dama è Giovanna, ma il suo soprannome è Primavera. «Guardando dietro di lei, continua Dante, vidi venire l’ammirevole Beatrice. Queste dame passarono vicino a me, una dopo l’altra, e mi sembrò che Amore mi dicesse nel mio cuore: «La prima è chiamata Primavera, solo a causa di questa sua venuta di oggi; perché sono stato io a spingere colui che le ha dato questo nome a chiamarla Primavera, che vuol dire «prima verrà», il giorno in cui Beatrice si mostrerà alla visione del suo fedele. E se inoltre vuoi considerare anche il suo nome originale, è più che dire che verrà prima, poiché il suo nome «Giovanna» deriva da quel Giovanni che precedette la Vera Luce dicendo: Io sono la voce che grida nel deserto, preparate la via del Signore. Mi sembrò che mi dicesse ancora queste parole: «E chi volesse vedere con ancora più penetrazione, chiamerebbe questa Beatrice: Amore, tanto è grande la sua somiglianza con me».

L’«illuminazione» dei fedeli d’amore è quindi vedere l’Angelo, è contemplare la giovane donna che assomiglia alla propria anima sotto la sua Forma teofanica, ed è anche vedere il volto di bellezza dell’Essere divino di cui il volto trasfigurato dell’essere amato porta i tratti, come conferma Rûzbehân Baqlî: «Sono penetrato nel mistero della Bellezza nell’immagine umana che mi offriva questa fidanzata, nella maestosità che rendeva così imponente la grazia della sua natura innata».

Ma vedere l’Angelo, è anche riconoscere il maestro interiore che investe il fedele d’amore della sua dignità ed è comprendere che egli è il proprio Testimone in Cielo. Ora questo maestro porta appunto i tratti «annunciatori » del volto dell’amatissima.

È infine vedere il volto dell’Amico, sotto le apparenze di Sofia, della Sapienza cristica, hikmat ‘isawîya, come dice Ibn ‘Arabî, o della Sapienza divina, secondo la parola di Jacob Boehme: «La sapienza divina è la Vergine eterna non la donna, è la purezza immacolata e la castità, ed appare come l’immagine di Dio e l’immagine della Trinità»

Questo volto che è la bellezza nascosta dell’essere amato e che è anche il volto dell’iniziatore, del maestro invisibile, è lo stesso volto che permette di vedere l’Angelo, il volto del Maestro interiore, dell’Amico, che è anche il volto di Dio stesso, la faccia divina che mostra al fedele d’amore quando questi vede la bellezza dell’essere amato tale e quale come la vede Dio. È quindi sempre lo stesso volto, visto sia con gli occhi dello spirito (amore divino), sia con gli occhi dell’anima (amore spirituale). È quello che farà dire a Semnanî, nel suo Giornale spirituale: «Sappi di scienza certa, o cercatore che aspiri alla conoscenza certa, che da venticinque anni vedo il mio Angelo, nei miei incontri visionari, sempre sotto la stessa forma; mai l’ha scambiata con un’altra; mai è diversa. Certo, succede che questa forma sia a volte più debole, a volte più intensa; a volte sembra sofferente e a volte irraggiante forza; la sua bellezza aumenta a seconda della purezza delle mie azioni, e diminuisce se qualche impurità le appanna. (…) Se non fosse che fantasia immaginaria, non persisterebbe così identica sotto una stessa forma»

A questo livello, dove la sapienza divina si manifesta sotto le apparenze di un Angelo di forma umana, «conoscersi, è conoscere il proprio Signore», cioè il Dio che si manifesta, il proprio Signore, detto anche il Cristo stesso.

Ma esiste una tappa supplementare in questa conoscenza di sé, più intima, anche meno «comunicabile», che è quella che sperimentano i fedeli d’amore quando la figura dell’Imam si sovrappone a quella del Cristo: «colui che conosce il suo Imam, conosce il suo signore.» Tuttavia questa tappa appartiene al «segreto» dei fedeli d’amore. Se ne può dire soltanto questo:

È nel segreto [al-sirr] del cuore che nasce l’Amore. Quando ne sono presi, i fedeli d’amore dissimulano il loro segreto, lo depositano nel loro cuore come un tesoro nascosto, ed è nel più profondo dell’anima [sirr al-sirr] che contemplano il volto dell’Amata. Non esiste pertanto amore fedele se non vissuto segretamente: sono allora due cuori uniti da un duplice segreto, il loro amore clandestino e il Segreto del loro amore.

È quindi con gli occhi dell’anima che il fedele d’amore contempla l’Amico, nell’intimità della sua coscienza, nella solitudine dell’Amore, e il suo Segreto è un segreto tra lui e Dio.