L’esperienza spirituale dei Fedeli d’Amore

«Entra e fa della mia anima l’ostaggio del tuo amore, affinché la mia fede divenga perfetta» 

 

Sommario - L’esperienza spirituale dei fedeli d'amore : Illuminazione - Conclusione 

La chiamata

Finché il futuro iniziato rimane nel «mondo occidentale» non sa nulla del suo destino che verrà, se non forse dai presentimenti che avrà avuto durante l’infanzia – tale fu il caso di Rûzbehân Baqlî. Il suo orizzonte «orientale» è quindi oscurato, come per i suoi contemporanei, e non ha neanche coscienza della sua esistenza né quindi del suo «esilio» in questo mondo. È una circostanza particolare che permetterà al futuro iniziato di scoprire che esiste un oriente all’orizzonte del mondo dove vive, per esempio l’incontro con uno straniero che viene da paesi lontani, e le cui parole risvegliano un’eco misteriosa in lui. Fatto notevole, come dirà il giovane eroe dell’Enrico di Ofterdingen di Novalis: «Tutti gli altri l’hanno sentito e ascoltato molto bene, ma nessuno ha provato una simile emozione… Che sensazione stupefacente, - della quale non sono nemmeno capace di parlare.» Per ciò che concerne i fedeli d’amore questa chiamata prende generalmente le sembianze dell’amore umano – che diventa il punto di partenza dello sviluppo spirituale del futuro iniziato – è questo il caso del primo incontro con Beatrice, per Dante, e di quello con Sophie per Novalis. La chiamata viene quindi effettuata con l’intrusione nel quotidiano del «mondo occidentale» di qualcosa che proviene dall’orizzonte «orientale» del mondo visibile. Quando il futuro iniziato prende coscienza di questo orizzonte, si mette in cammino. Non ha ancora nessun maestro, ma ha la fede in ciò che ha sentito e capito della chiamata – ed è un movimento volontario – un’aspirazione dell’anima – che lo spinge a camminare in direzione di questo Oriente. Ma i pericoli sono notevoli e senza un maestro il cammino diventa rapidamente impraticabile. Può persino condurre a un disastro umano. Infatti, o chi si è messo in cammino rinuncia e ritorna nel «mondo occidentale» - così il padre di Enrico di Ofterdingen -, o persiste nella sua marcia ma a rischio della pazzia. L’esempio più caratteristico di un’iniziazione mancata alla Fedeltà d’Amore è senza dubbio quello dato dalla pazzia e dalla morte di Gérard de Nerval. Ci si riferisce ad Aurélia che rintraccia il cammino tragico del poeta e più specificatamente ai Memorabili: «O Morte! Dov’è la tua vittoria, posto che il Messia vincitore cavalcava tra noi due? Il suo vestito era di giacinto sulfureo, e i suoi polsi, così come le sue caviglie, brillavano di diamanti e di rubini. Quando il suo mantello leggero sfiorò la porta di madreperla della nuova Gerusalemme noi fummo tutti e tre inondati di luce. È allora che sono disceso tra gli uomini per annunciare la lieta novella.» Pertanto senza maestro è impossibile andare molto avanti verso l’Oriente. Per i fedeli d’amore del Medio Evo l’iniziazione sarebbe stata conferita da un maestro visibile, appartenente all’Ordine, ma i documenti mancano completamente, e se ci si tiene alle esperienze rispettive dei fedeli d’amore, sia in Occidente che in Oriente, si potrebbe dubitare dell’esistenza di una tale iniziazione. Dante evoca Amore, si sa che Novalis ricevette l’iniziazione dall’angelo di Sophie, Sohravardî s’inventa una genealogia spirituale, etc.

L’iniziazione

Esistono in Occidente dei maestri «invisibili», nel senso che hanno abbandonato la manifestazione terrestre, ma che, siccome hanno appartenuto effettivamente a questi ordini, sono qualificati a conferire l’iniziazione e a comunicare un’influenza spirituale. Naturalmente questi iniziati non sono in grado di conferire a loro volta un’iniziazione che hanno ricevuto in un modo speciale che riguardava solo loro.

Esistono in Oriente dei maestri visibili o invisibili che appartengono a genealogie spirituali «parenti» - che sono la causa del come nel Medio Evo gli ordini esoterici cristiani abbiano potuto entrare in relazione con gli ordini orientali.

C’è soprattutto un certo «incontro» dell’Oriente con l’Occidente, vissuto nel segreto del cuore, che autorizza l’iniziato a entrare in contatto col suo Maestro interiore e di conseguenza a progredire verso gli stati superiori dell’essere, per riprendere la terminologia di René Guénon. È così che è possibile conoscere il proprio Signore.

La Vita nova di Dante descrive molto precisamente le diverse tappe dell’iniziazione alla Fedeltà d’Amore e del "l’illuminazione" che dà accesso all’amore appassionato o di passione che è l’amore dei fedeli d’amore e che non bisogna confondere con l’amore passione dei romantici. L’amore appassionato dei fedeli d’amore non è evidentemente una fatalità. Il capitolo IX del Vademecum dei Fedeli d’Amore di Sohravardî ne dà un riassunto:

All’origine di ogni iniziazione all’Ordine dei Fedeli d’Amore si trova un’esperienza amorosa – che è il punto di partenza di uno sviluppo spirituale nel corso del quale l’amore diventerà un amore di passione. Ma questo sviluppo resta riservato a un piccolo numero: «Amore non apre a chiunque la via che conduce a lui». Come per ogni iniziazione l’essere che è stato preso ne deve manifestare le disposizioni. Ma dopo che l’Amore è venuto a constatare che vi sono le attitudini, «invia a lui Nostalgia che è la sua confidente e la sua delegata, affinché costui purifichi la sua dimora e non vi faccia entrare nessuno». Si tratta quindi di una prima tappa nello sviluppo personale dell’essere sinceramente preso che è quella dell’iniziazione. In seguito «bisogna che Amore faccia il giro della dimora e scenda fino alla cella del cuore. Distrugge alcune cose; ne costruisce delle altre; fa passare per tutte le varianti del comportamento amoroso». È al termine di questa seconda tappa che si produce «l’illuminazione» – che è ciò che simbolizza il Cuore gentile secondo Dante, cioè «il cuore purificato, dunque vuoto di tutto ciò che concerne gli oggetti esteriori, e per ciò stesso reso atto a ricevere l’illuminazione interiore». Allora Amore «si decide a recarsi alla corte della Bellezza». In quest’ultima tappa l’essere che è stato preso dovrà conoscere «le tappe e i gradi per i quali passano i fedeli d’amore» e soprattutto dovrà «dare il suo assenso totale all’amore». È a questa condizione che l’iniziato diviene un fedele d’amore ed «è solo dopo di ciò che verranno date le visioni meravigliose».

Ma l’iniziazione stessa è una commozione legata all’amore ispirato dalla bellezza nascosta dell’essere amato. È ciò che vuole esprimere Rûzbehân Baqlî quando dice: «Tu sei per me l’apparizione della bellezza, o mia amica». Certo, non è l’essere amato che conferisce l’iniziazione, e non è nemmeno l’amore stesso, lo è invece l’amore ispirato dalla bellezza nascosta dell’essere amato, perché questo amore fa conoscere la sua bellezza nascosta; in altri termini gli fa vedere il suo angelo e da quel momento egli è introdotto nel Oriente. In tutte le iniziazioni alla Fedeltà d’Amore non si tratta in fondo di altro che dell’angelo di una persona amata della quale esistenza storica non si può nondimeno dubitare. Ogni volta, è il suo angelo che agisce e da cui viene preso il fedele d’amore, cioè dalla bellezza nascosta dell’essere amato. In un passo della sua Immaginazione creatrice nel sufismo di Ibn ‘Arabî, Henry Corbin nota molto giustamente: «Il teofanismo ignora il dilemma perché è tanto lontano dall’allegoria che dal senso letterale; presuppone l’esistenza della persona concreta, ma l’investe di una funzione che la trasfigura, in quanto essa viene percepita alla luce di un altro mondo " (p.47).

Succede a volte che l’angelo dell’essere amato e l’iniziatore – colui che si chiama il maestro invisibile – siano un solo e uno stesso volto di bellezza. È  allora questo maestro che conferisce l’iniziazione. Si tratta qui di un caso molto particolare d’iniziazione all’ordine dei fedeli d’amore. Come regola generale la bellezza stessa dell’essere amato è sufficiente a conferire l’iniziazione, perché essa viene vista con gli occhi dell’anima. Bisogna comprendere che non tutti i fedeli d’amore fanno l’esperienza di questa bellezza alla stessa età o, se si vuole, che questa esperienza, quando arriva, si rivolge a degli uomini che non hanno raggiunto lo stesso grado di sviluppo spirituale. Comunque sia, si tratta sempre di una giovane donna «reale» e del suo angelo che appare al fedele d’amore quando egli contempla la sua bellezza dall'Oriente e non più dal mondo terrestre.

«Dopo che furono passati abbastanza giorni perché fossero compiuti nove anni esatti dall’apparizione, qui descritta, di questa molto gentile, avvenne, l’ultimo di questi giorni, che questa ammirevole dama mi apparve vestita tutta di bianco in mezzo a due dame più anziane; e, passando per la strada, lei volse gli occhi dal lato ove me ne stavo tutto timoroso; e con quella ineffabile cortesia che oggi viene ricompensata nel secolo senza fine, lei m’indirizzò un saluto di così grande effetto che io credetti di vedere gli estremi limiti della beatitudine.» (Vita nova, III). Si sa che questo incontro era stato preceduto da una prima apparizione di Beatrice, che aveva allora 9 anni, - è la Chiamata – e che fu seguito immediatamente dopo da un sogno misterioso dove la stessa Beatrice apparve al poeta tra le mani di Amore. Questo sogno costituisce l’iniziazione di Dante alla Fedeltà d’Amore.

Tutta l’esperienza di fedele d’amore di Ibn ‘Arabî – che l’ha descritta nel suo Interprete dei desideri – procede nella stesa maniera alla vista di una giovane donna da cui è preso: «Quando durante l’anno 1201 soggiornavo alla Mecca, frequentavo una società di persone eminenti, uomini e donne, che formavano un’élite tra le più colte e virtuose. Per quanto grande fosse la loro distinzione, non vidi tuttavia tra di loro nessuno che uguagliasse il saggio dottore e maestro Zâhir ibn Rostam, originario di Ispahan ma che aveva preso residenza alla Mecca (…). Ora, questo sceicco aveva una figlia, un’agile adolescente che incatenava gli sguardi di chiunque la guardasse, la cui sola presenza era l’ornamento delle assemblee e meravigliava fino allo stupore chiunque la contemplasse. Il suo nome era Nezâm (Armonia) e il suo soprannome «Occhio del Sole e della Bellezza». Saggia e pia, aveva esperienza di vita spirituale e mistica, e personificava la venerabile anzianità di tutta la Terra santa e la giovinezza ingenua della grande città fedele al Profeta.»

È proprio durante un soggiorno alla Mecca che Rûzbehân farà l’esperienza della bellezza dell’angelo sotto le spoglie di una giovane donna di cui terrà nascosto il nome. I soli tratti che possiamo immaginare sono la sua estrema bellezza, stando a quanto Rûzbehân ci dice, e la sua cultura spirituale che traspariva in tutto il primo capitolo del Gelsomino dei fedeli d’amore. Questa prova d’amore accadde a Rûzbehân quando era già molto avanzato nella via mistica, il che spiega che quando si era impegnato a «comprendere il segreto della forma umana», «con gli occhi dell’intelligenza», mise un giorno «gli occhi del (suo) corpo» al servizio degli «occhi del suo cuore»:

«Ed ecco che vidi davanti a me una bella e affascinante fata la cui grazia e bellezza conducevano al potere dell’amore tutti gli esseri di questo mondo. (…) La guardai dal sentiero ceh ella seguiva con graziosa fierezza, e gettando dal volto della mia devozione il velo del pudore, m’indirizzai mentalmente a lei improvvisando questi versi:

Al di là dell’essenziale, al di là dell’accidentale / Tu sei lo scopo di tutti gli esseri./ Trono e tappeto sono la tua corte reale, / Tutta la Creazione è come un laboratorio per i tuoi propositi.

(…) Nell’incanto del mio cuore le dissi: «Tu fai parte della compagnia dei mistici fedeli d’amore, o bella icona! Perché tu ne sei eminentemente degna, anche se non partecipi con noi all’abbeveraggio dell’amore nell’assemblea dell’estasi».

Da questi due esempi si deve dedurre la realtà dell’amatissima che non è certo un’allegoria, ma che è proprio una persona vivente la cui bellezza provoca l’amore nel cuore del fedele d’amore. Se ne deve dedurre anche che questa bellezza è una bellezza nascosta, che scopre il fedele d’amore, perché l’amore ha aperto in lui gli occhi dell’anima, per riprendere un’espressione di Hâfez Shîrazî. È proprio quello che lascia capire questo passo del Mathnawî di Rûmî, a proposito dei più celebri amanti della letteratura araba, Majnûn e Layla : «Harun aveva sentito parlare dell’amore di Majnûn [Qays] per Layla e desiderava vedere questa famosa bellezza. Avendo fatto venire Layla, non la trovò per niente straordinaria. Chiamò allora Majnûn e gli disse: " Questa Layla, la cui bellezza ti ha messo in questo stato, non è così bella come credi." Majnûn rispose: "La bellezza di Layla è senza difetti, ma il tuo occhio è fallace. Per riconoscere la sua bellezza bisogna avere l’occhio di Majnûn » (I, 407-408).